Cassazione penale, sez. unite, 28 marzo 2006, n. 26795
Le sezioni unite penali sono state richieste di dirimere il contrasto fra i vari orientamenti assunti dalle varie sezioni della medesima corte in ordine alla legalità, e correlativamente, alla utilizzabilità della prova acquisita attraverso la captazione di immagini in luoghi di privata dimora.
Questione di non semplice soluzione considerati, da un lato, la previsione delle garanzie costituzionali all’inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost) e, dall’altro, la lacuna legislativa sussistente in materia, specialmente per quanto attiene alle videoregistrazioni di immagini in ambito domiciliare che non abbiano il carattere di “comportamenti di tipo comunicativo” e che non possono pertanto essere ricondotte nell’ambito della disciplina delle intercettazioni fra presenti.
I due principali orientamenti della giurisprudenza di legittimità in materia possono essere riassunti come segue.
- Il primo ritiene pacificamente utilizzabili come prova le immagini tratte da riprese visive in luoghi pubblici, sia se avvenute al di fuori del procedimento (nella maggior parte dei casi si tratta di riprese di impianti di videosorveglianza), sia se avvenute nell’ambito delle indagini di polizia giudiziaria. Tale posizione si giustifica includendo le videoriprese nella categoria delle prove documentali di cui all’art. 234 c.p.p. in cui sono ricomprese le rappresentazioni di “fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”.
- Il secondo orientamento inquadra le riprese visive effettuate in luoghi pubblici nell’ambito delle prove atipiche previste dall’art. 189 c.p.p. tanto se avvenute al di fuori del procedimento (Sez. V, 26 ottobre 2001, n. 43491, Tarantino, rv. 220261, con riferimento a riprese effettuate da una videocamera collocata all’esterno di una banca), quanto se avvenute nell’ambito delle indagini.
Tuttavia, con riferimento alla seconda delle due ipotesi, si è detto che astrattamente il risultato delle riprese visive costituisce una prova documentale ex art. 234, comma 1 c.p.p., e come tale può essere utilizzato a fini probatori, sebbene il codice di rito non ne disciplini le modalità di acquisizione e le regole di utilizzazione. Unico limite il rispetto di modalità acquisitive che non si pongano in conflitto con norme di legge. Ne deriva che le riprese effettuate in un luogo pubblico o aperto al pubblico non incontrano teoricamente alcun limite in quanto la natura del luogo in cui si svolge la condotta implica una implicita rinunzia alla riservatezza. Né opererebbero le garanzie poste dall’art. 14 Cost. in quanto applicabili solo ai luoghi di privata dimora.
Le S.U. rilevano a tal proposito una certa «confusione concettuale tra la prova documentale dell’art. 234 c.p.p. e la prova atipica dell’art. 189 c.p.p.» al punto che «talvolta si ha l’impressione che le immagini videoriprese siano considerate al tempo stesso documenti e prove atipiche, cioè documenti formati attraverso una prova atipica» quando invece le due norme non sono complementari ma individuano forme probatorie alternative. In realtà, precisa la corte, «solo le videoregistrazioni effettuate fuori dal procedimento possono essere introdotte nel processo come documenti e diventare quindi una prova documentale mentre le altre, effettuate nel corso delle indagini, costituiscono, secondo il codice, la documentazione dell’attività investigativa, e non documenti».
Affinché possano rientrare fra gli atti del processo le videoriprese effettuate nel corso delle indagini debbono essere ricondotte nella categoria delle prove atipiche di cui all’art. 189 c.p.c. Contro la possibile obiezione cui va incontro tale tesi – ovvero la necessità un contraddittorio tra le parti davanti al giudice sulle modalità di assunzione della prova, naturalmente carente nel caso di riprese audiovisive – la s.c. argomenta come segue: «[…] l’obiezione non distingue il mezzo di ricerca della prova, costituito dalla ripresa visiva, dalla videoregistrazione, cioè dal supporto sul quale sono fissate le immagini riprese, fonte di prova, e dal mezzo di prova, che è lo strumento attraverso il quale si acquisisce nel processo il contenuto rappresentativo del supporto, vale a dire quello che sarà l’elemento di prova. Il contraddittorio previsto dall’art. 189 c.p.p. non riguarda la ricerca della prova ma la sua assunzione e interviene dunque, come risulta chiaramente dalla disposizione, quando il giudice è chiamato a decidere sull’ammissione della prova».
Più difficoltosa appare la questione sulla legittimità delle videoriprese in ambito domiciliare e conseguentemente sulla loro utilizzabilità probatoria.
Sulla questione già ebbe a pronunciarsi la Corte Costituzionale con la sent. n. 135/2002 ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 189 e 266-271 c.p.p. e segnatamente, dell’art. 266 comma 2, in riferimento agli art. 3 e 14 cost., nella parte in cui non estendono la disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p. alle riprese visive o videoregistrazioni effettuate nei medesimi luoghi. La Consulta nella ridetta sentenza precisò che il riferimento, nell’art. 14, 2 comma, Cost., alle “ispezioni, perquisizioni e sequestri” non è necessariamente espressivo dell’intento di “tipizzare” le limitazioni permesse, escludendo a contrario quelle non espressamente contemplate. È infatti ragionevole ritenere che gli atti elencati esaurivano, all’epoca di redazione della costituzione, le forme di limitazione dell’inviolabilità del domicilio e non potendosi evidentemente prevedere altre forme di intrusione nella sfera domiciliare rese possibili dagli sviluppi tecnologici.
Secondariamente ritenne di dover distinguere nell’ambito della captazione di immagini in luoghi di privata dimora l’oggetto della ripresa stessa ovvero i comportamenti “comunicativi” da quelli “non comunicativi”. Il primo caso sarebbe assimilabile ad una forma di intercettazione di comunicazioni fra presenti, che si differenzia da quella sonora solo in rapporto allo strumento tecnico di intervento (come nell’ipotesi di riprese visive di messaggi gestuali), fattispecie alla quale è applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa della intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora. Il problema di costituzionalità si configurerebbe dunque solo ove si fuoriesca dall’ipotesi della videoregistrazione di comportamenti di tipo comunicativo, venendo allora in considerazione soltanto l’intrusione nel domicilio in quanto tale. Pur tuttavia la Corte costituzionale ritenne le due situazioni poste a confronto come assolutamente eterogenee: da un lato la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni; dall’altro l’invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale. In conclusione rivolse un invito al legislatore ad intervenire, specie per l’ipotesi della videoregistrazione non avente carattere di intercettazione di comunicazioni, ferma restando, per l’importanza e la delicatezza degli interessi coinvolti, l’opportunità di un riesame complessivo della materia. Seppure indirettamente, e con formula non certo chiara, con la sent. 135/2000 la consulta dichiarava dunque inammissibili le riprese visive di comportamenti non comunicativi effettuati in ambito domiciliare.
Sul punto la Cassazione ha comunque maturato un proprio orientamento, consolidato nel tempo (cfr. Cass. Cass. p. , sez. un., 13 luglio 1998, n. 21) ed imperniato sull’interpretazione dell’art. 191 c.p.p.
Secondo la s.c. rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., non solo quelle oggettivamente vietate, ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli art. 13, 14 e 15, in cui la prescrizione dell’inviolabilità attiene a situazioni fattuali di libertà assolute, di cui è consentita la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge. I concetti di inutilizzabilità ed incostituzionalità relativamente alla prova penale si intrecciano sulla base dell’assunto che i divieti cui fa riferimento l’art. 191 c.p.p. non possono essere solamente quelli di natura processuale ma anche quelli rinvenibili comunque nell’ordinamento e, a maggior ragione, quelli derivanti da violazione di norme costituzionali.
Ultima questione affrontata dalla corte è quella relativa al caso di specie ovvero all’utilizzabilità di videoriprese tratte nei camerini di un club privè. Ipotesi che si pone sulla linea di confine fra il concetto di luogo pubblico e domicilio privato o, quantomeno, di luogo di privata dimora di cui all’art. 614 c.p.
Il contrasto giurisprudenziale in ordine a fattispecie similari, all’interno della medesima corte, è evidente: in talune occasioni (sent. n. 3443/03; n. 6962/03 e n. 11654/05) si è ritenuto di escludere il carattere di privata dimora relativamente a luoghi in cui non vi fossero una seppur minima stabilità e continuatività nell’utilizzo del luogo stesso (così ad es. pwer le toilettes di un locale pubblico); in talaltre (sent. n. 7063/00) si è preferito affidarsi ad una interpretazione estensiva dell’art. 14 Cost. (la cui nozione di domicilio è più ampia e supera i luoghi di privata dimora di cui all’art 614 c.p.) coprendo quindi anche luoghi in cui, sebbene temporaneamente, si crea un’area di riservatezza.
A tal proposito la Suprema corte a s.u., nella pronuncia in esame, precisa che nei luoghi che possono correttamente definirsi quali domicilio la tutela si estende al luogo stesso a prescindere della presenza fisica del titolare. Diversamente la tutela che può accordarsi a luoghi quali possono essere una toilette o un privè e simili va rintracciata non nella protezione del domicilio in quanto tale di cui all’art 14 Cost ma piuttosto nella protezione del diritto alla riservatezza della vita privata (art. 2 Cost.; art. 8 Conv.ne europea diritti dell’uomo; art. 17 Patto int.le diritti civili e politici).
Sulla scorta di tale ragionamento le riprese audiovisie in luoghi che pur non rientrano nella nozione di domicilio ma vengono usati per attività che si vogliono mantenere riservate devono considerarsi ammissibili ed utilizzabili solo se assunte con le modalità e le garanzie di cui all’art. 189 c.p.p. ovvero se disposte per mezzo di un decreto motivato dell’autorità giudiziaria procedente, sia essa p.m. o giudice.
Nel caso di specie l’autorizzazione del g.i.p. al p.m., pur esistente, si presenta assolutamente carente sotto il profilo delle motivazioni e disposta su modulo prestampato relativo alle intercettazioni di comunicazioni fra presenti di talchè ne deriva l’inutilizzabilità delle videoregistrazioni effettuate all’interno dei privè di un locale pubblico.
Cassazione penale, sez. unite, 28 marzo 2006, n. 26795