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Home»Aree tematiche di MioLegale.it»Diritti fondamentali della persona
Diritti fondamentali della persona Notizie giuridiche Ordinamento Giudiziario Forense

Linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica.

Redazionedi Redazione2 Dicembre 2010
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1. Premessa

1.1 Scopo delle linee guida
Scopo delle presenti linee guida, che fanno seguito a richieste di chiarimenti e a quesiti posti da case editrici e operatori del settore dell’informazione giuridica, e tengono conto della consultazione indetta con tali soggetti, è di fornire orientamenti utili a uffici giudiziari, editori di riviste giuridiche specializzate e ogni altro soggetto, pubblico e privato, che svolge attività di riproduzione di sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali, su supporti cartacei e informatici, nonché mediante reti di comunicazione elettronica, per finalità di informazione giuridica, al fine di garantire il rispetto dei princìpi in materia di protezione dei dati personali ai sensi del d. lg. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia protezione dei dati personali; d’ora in avanti: Codice).
Le presenti linee guida intendono anche fornire agli interessati che hanno rivolto al Garante numerose segnalazioni, indicazioni in ordine ai diritti loro attribuiti e ai limiti e condizioni per il loro esercizio, come previsti in particolare dagli artt. 51 e 52 del Codice.

1.2 Ambito considerato
I predetti orientamenti e indicazioni riguardano esclusivamente l’attività di informatica giuridica, intesa come attività di riproduzione e diffusione di sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, ovvero di documentazione, studio e ricerca in campo giuridico, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, compresi i sistemi informativi e i siti istituzionali dell’Autorità giudiziaria (artt. 51 e 52 del Codice).
Sono, pertanto, esclusi dall’ambito di applicazione delle presenti linee guida i trattamenti effettuati presso gli uffici giudiziari di ogni ordine e grado, il Consiglio superiore della magistratura, gli altri organi di autogoverno e il Ministero della giustizia, “per ragioni di giustizia”, intendendosi per tali, per quanto qui interessa, i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie (art. 47, comma 2, del Codice).(1)
Le presenti linee guida non incidono, quindi, sulle norme processuali che l’autorità giudiziaria deve rispettare e applicare nello svolgimento delle attività e nell’adempimento degli obblighi derivanti dall’esplicazione delle funzioni giurisdizionali, come previsti dalle pertinenti disposizioni codicistiche. Non riguardano, in particolare, l’attività di redazione degli originali delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali e il loro contenuto (art. 52, comma 1, del Codice), né la loro pubblicazione mediante il deposito nelle cancellerie e segreterie giudiziarie, secondo le disposizioni che disciplinano tali attività (artt. 133 e ss. c.p.c.; artt. 125 e ss. c.p.p.).
Restano ferme anche le disposizioni processuali concernenti la visione e il rilascio di estratti e di copie di atti e documenti (art. 51, comma 1, del Codice).
Sono esclusi, infine, dall’ambito di applicazione delle presenti linee guida i trattamenti effettuati nell’esercizio dell’attività giornalistica, disciplinata da specifiche disposizioni sulla protezione dei dati personali (artt. 136 e ss. del Codice; Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, provv. del Garante 29 luglio 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 3 agosto 1998, n. 179).

2. Diffusione delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale.(2)
Il Codice favorisce la più ampia diffusione delle sentenze e degli altri provvedimenti dell’Autorità giudiziaria per i quali sia stato assolto, mediante il deposito nella cancellerie e nelle segreterie giudiziarie, l’onere della pubblicazione previsto dalle disposizioni dei codici di procedura civile e penale.(3)
La conoscenza di tali provvedimenti può, infatti, essere realizzato, in primo luogo, dalla stessa Autorità giudiziaria “anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet” (art. 51, comma 2), osservando alcune cautele previste dallo stesso Codice (art. 52, commi da 1 a 6), volte alla tutela dei diritti e della dignità degli interessati.
Con l’osservanza di tali cautele, è inoltre “ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali” (art. 52, comma 7).
Alle cautele previste dal Codice rinvia anche l’art. 56, comma 2, del d. lg. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale) che, con riferimento alle “sentenze e alle altre decisioni del giudice amministrativo e contabile, rese pubbliche mediante deposito in segreteria”, ne prevede la pubblicazione anche sul sito istituzionale della rete Internet “osservando le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali”. Il comma 2-bis della medesima disposizione aggiunge che “i dati identificativi delle questioni pendenti, le sentenze e le altre decisioni depositate in cancelleria o segreteria dell’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado sono, comunque, rese accessibili ai sensi dell’articolo 51 del codice in materia di protezione dei dati personali approvato con decreto legislativo n. 196 del 2003”.

3. La procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali
L’art. 52 pone alcune cautele alla libera diffusione dei provvedimenti giurisdizionali.
In particolare, prevede una particolare procedura, descritta nei commi da 1 a 4, attraverso la quale ogni interessato può chiedere, con istanza depositata presso la cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario avanti al quale si svolge il giudizio, che le sue generalità e ogni altro dato idoneo a identificarlo siano omessi in caso di riproduzione del provvedimento. I dati presi in considerazione dalla norma sono i dati identificativi, vale a dire, oltre alle generalità, ogni altro dato idoneo a identificare direttamente l’interessato (art. 4, comma 1, lett. c) del Codice).

3.1 La richiesta dell’interessato (art. 52, comma 1)
La richiesta può essere presentata da ogni interessato, ovvero dalla persona fisica, persona giuridica, ente o associazione cui si riferiscono i dati personali (art. 4, comma 1, lett. l) del Codice).
Sono quindi legittimati a inoltrare l’istanza non solo le parti di un giudizio civile, o l’imputato in un processo penale, ma anche qualsiasi altro soggetto – quale, ad esempio, un testimone o un consulente – reso identificabile nel provvedimento attraverso l’indicazione delle generalità o di altri dati identificativi.
Rimane fermo che l’eventuale omissione può riguardare solo l’interessato che ha proposto la relativa richiesta, e non altri soggetti.
La richiesta è sottoposta ad alcune condizioni e limiti.
In primo luogo, l’istanza deve essere rivolta all’ufficio giudiziario procedente, avanti al quale si svolge il giudizio, mediante il suo deposito nella cancelleria o segreteria giudiziaria. Va evidenziato che il deposito deve avvenire “prima che sia definito il relativo grado di giudizio”, vale dire a procedimento in corso. Un’istanza proposta dopo la definizione del giudizio (ad esempio, dopo l’emissione della sentenza) resterebbe priva di effetto.
La richiesta deve contenere l’esplicita istanza che la cancelleria o la segreteria riportino, sull’originale della sentenza o del provvedimento, un’annotazione che specifichi che in caso di riproduzione del provvedimento non può essere riportata l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del richiedente.
Inoltre la richiesta deve essere espressamente motivata, poiché in essa l’interessato deve specificare i “motivi legittimi” che la giustificano, quali la delicatezza della vicenda oggetto del giudizio o la particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili).
Peraltro, l’omissione dei dati dell’interessato non può avvenire per qualsiasi utilizzo delle copie del provvedimento, ma solo ove questo venga riprodotto in qualsiasi forma (cartacea, informatica o su altro supporto):
– per esclusive finalità di informazione giuridica, come definita al punto 1.2 che precede;
– su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica.
La procedura prevista dall’art. 52 è quindi finalizzata a ottenere l’omissione dei dati solo in caso di riproduzione del provvedimento per l’indicata specifica finalità.

3.2 La decisione sulla richiesta (art. 52, comma 2)
La competenza a decidere sulla richiesta spetta all’Autorità giudiziaria presso cui pende il giudizio e che deve pronunciare la sentenza o adottare il provvedimento.
La decisione assume la forma di un decreto, riportato in calce all’istanza. La decisione può essere adottata in tempi anche molto brevi, poiché la norma prescrive che la decisione sia assunta “senza ulteriori formalità”.
In caso di rigetto della richiesta, ovviamente nessuna annotazione va apposta sull’originale del provvedimento.

3.3 Anonimizzazione disposta d’ufficio: in particolare, i dati sensibili
La disposizione di cui al comma 2 aggiunge che l’annotazione sull’originale della sentenza può essere disposta dal magistrato, per le medesime finalità di informazione giuridica, anche d’ufficio, cioè senza richiesta di parte.
La norma ora richiamata fa carico all’Autorità giudiziaria di una specifica responsabilità nell’attenta valutazione dell’opportunità dell’anonimizzazione dei provvedimenti.
Tale responsabilità è fortemente accentuata nei casi in cui vengono in rilievo dati personali dotati di particolare significatività che, se indiscriminatamente diffusi, possono determinare negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell’interessato (ad esempio, in ambito familiare o lavorativo).
É questo sicuramente il caso in cui nel provvedimento siano contenuti dati sensibili (art. 4, comma 1, lett. d) del Codice), che sono oggetto nella normativa del Codice di particolari forme di tutela e, fra questi, dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale degli interessati.
Ciò, anche in considerazione delle limitazioni che, proprio in ambito giudiziario, vengono poste alla stessa difesa dei diritti in giudizio, laddove si richiede che il diritto dell’interessato alla riservatezza di tali dati possa essere sacrificato solo ove il diritto azionato sia “di rango pari” a quello dell’interessato medesimo, “ovvero consistente in un diritto o libertà fondamentale e inviolabile” (art. 26, comma 4, lett. c) del Codice).
Relativamente ai dati idonei a rivelare lo stato di salute (con riferimento ai quali sono giunte al Garante numerose segnalazioni degli interessati che ne hanno lamentato la diffusione e la conseguente agevole reperibilità anche attraverso i comuni motori di ricerca), anche altre disposizioni del Codice pongono, con carattere di generalità, uno specifico divieto di diffusione, valevole per i soggetti sia pubblici, sia privati (artt. 22, comma 8 e 26, comma 5 del Codice).
La salvaguardia dei diritti degli interessati attraverso un oscuramento delle loro generalità non pregiudica la finalità di informazione giuridica, sottesa alla diffusione del provvedimento, che il Codice intende salvaguardare, ma può risultare necessaria, nell’ottica di un corretto bilanciamento dei diversi interessi, rimesso alla responsabilità dell’Autorità giudiziaria procedente, per tutelare la sfera di riservatezza degli interessati.
Spetta quindi all’Autorità giudiziaria farsi carico, prima della definizione del procedimento, di valutare attentamente tale profilo, nella prospettiva di un’efficace tutela dei diritti e della dignità delle persone coinvolte nei procedimenti giudiziari.

3.4 L’attuazione della richiesta (art. 52, comma 3)
Come già rilevato, ove con il decreto la richiesta dell’interessato venga accolta, spetta alla cancelleria o alla segreteria giudiziaria darvi esecuzione, apponendo sull’originale del provvedimento, all’atto del deposito da parte del magistrato, anche con un timbro, un’annotazione che riporti l’indicazione dell’art. 52 del Codice e la dizione: “In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di …”. L’indicazione dell’art. 52 ha lo scopo di escludere che il divieto possa essere esteso a ipotesi di diffusione diverse rispetto a quella della riproduzione del provvedimento per finalità di informazione giuridica.
Oltre all’obbligo ora evidenziato, non emergono ulteriori incombenti a carico degli uffici giudiziari.
In particolare, non incombe sulle cancellerie e segreterie l’onere di cancellare materialmente i dati dell’interessato sulle copie dei provvedimenti rilasciate a chi ne abbia diritto e che riportino la menzionata annotazione.
Ciò, in primo luogo, in quanto il rilascio della copia costituisce attività di comunicazione (art. 4, comma 1, lett. l) del Codice(4)), e non di diffusione dei dati (lett. m), comma cit.(5)), per ciò stesso esclusa dal dettato dell’art. 52.
Inoltre, come già rilevato, le disposizioni in esame non incidono in alcun modo sugli adempimenti svolti dalle cancellerie e dalle segreterie giudiziarie che, in quanto connessi allo svolgimento dei processi, comportano trattamenti effettuati per ragioni di giustizia. Il rilascio di copie, attività direttamente disciplinata dalle norme codicistiche, rientra in tale ambito, come pure, ad esempio, l’invio della sentenza all’ufficio deputato alla sua registrazione.
Spetta a chi riceve la copia provvedere all’omissione dei dati ove intenda riprodurla e diffonderla per finalità di informazione giuridica.

3.5 Il divieto di diffusione dei provvedimenti (art. 52, comma 4)
I primi tre commi dell’art. 52 descrivono la procedura finalizzata all’apposizione dell’annotazione volta all’omissione dei dati.
In caso di accoglimento della richiesta, il comma 4 prescrive di omettere l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell’interessato in caso di diffusione, per le descritte finalità, dei provvedimenti giurisdizionali che rechino detta annotazione.
La prescrizione è rivolta in primo luogo all’Autorità giudiziaria, alla quale già il secondo comma dell’art. 51, nello stabilire il principio della libera accessibilità a chiunque dei provvedimenti giurisdizionali, anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale nella rete Internet, impone l’osservanza delle cautele previste dall’art. 52.
La prescrizione è rivolta anche a tutti gli altri soggetti, terzi rispetto all’Autorità giudiziaria, che svolgono attività di diffusione dei provvedimenti per finalità di informazione giuridica.
Va sottolineato che la prescrizione si riferisce espressamente anche alla diffusione delle massime giuridiche estratte dai provvedimenti sull’originale dei quali sia apposta l’annotazione sull’omissione dei dati.
Ne consegue che anche in caso di riproduzione delle sole massime deve essere posta la dovuta attenzione, attraverso l’esame della copia dell’originale del provvedimento, che le stesse risultino prive delle generalità e di altre informazioni idonee a identificare gli interessati che abbiano ottenuto dall’Autorità giudiziaria di vedere omessi i dati che li riguardano.

4. Il divieto ex lege di diffusione (art. 52, comma 5)

4.1 Caratteristiche specifiche
Il comma 5 dell’art. 52 del Codice pone uno specifico, ulteriore, divieto di diffusione dei dati dei minori e delle parti nei procedimenti giudiziari in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone.
Si tratta di una tutela più ampia rispetto a quella posta dai primi quattro commi del medesimo articolo. La norma impone, infatti, di omettere, nei casi ivi considerati, non solo le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti tutelati, – come prevede il quarto comma – ma anche gli “altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l’identità” di tali soggetti.
Inoltre l’obbligo opera “in ogni caso”, cioè, come pure precisa testualmente la norma, ancorché la sentenza o l’altro provvedimento giudiziale oggetto di diffusione non riporti l’annotazione di cui al comma 2 dell’art. 52. Si tratta di un divieto assoluto; neppure il consenso dei soggetti interessati può determinare l’inapplicabilità dell’obbligo in esame.
Benché si tratti di un incombente non espressamente imposto dalla norma, si ritiene comunque opportuno che l’Autorità giudiziaria provveda d’ufficio, attraverso la già descritta procedura, all’annotazione sull’originale del provvedimento dell’obbligo di anonimizzazione, al fine di evitare illecite divulgazioni dovute a dubbi sull’oggetto o sui contenuti dei provvedimenti, o anche a mera negligenza.
Con l’espressione “chiunque”, la norma del Codice intende riferirsi a qualunque soggetto che effettua trattamenti di dati personali a fini di informazione giuridica, attività che è l’oggetto specifico della disciplina di cui al capo III del titolo I della parte seconda del Codice, come si evince anche dalla rubrica.
La disposizione non riguarda trattamenti che abbiano diverse finalità. Tra gli altri, non si applica, quindi, ai trattamenti effettuati nello svolgimento dell’attività giornalistica (ad esempio, alla cronaca giudiziaria), che rimangono disciplinati dalle pertinenti disposizioni in materia di protezione dei dati personali (su cui v. punto 1.1).
I soggetti tutelati sono i minori coinvolti in qualunque tipo di procedimento giudiziario e le parti, limitatamente ai procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato civile delle persone di cui al Libro I del Codice Civile (quali, ad esempio: matrimonio e sue vicende, filiazione, adozione, ordini di protezione contro gli abusi familiari, azioni di stato, richieste di rettificazione di sesso).
Va rilevato che in quest’ultimo caso la legge utilizza il termine “parti”, non “interessati”, come nel primo comma dell’art. 52. Pertanto, la disposizione riguarda solo le parti processuali dei procedimenti giurisdizionali in materia di famiglia o di status personale. Eventuali altri soggetti coinvolti in tali procedimenti e che si ritengano interessati a ottenere l’oscuramento delle loro generalità e di altri dati identificativi contenuti nei relativi provvedimenti (ad esempio, i testimoni), devono ricorrere alla procedura di anonimizzazione disciplinata dai primi quattro commi dell’art. 52.
L’obbligo di omissione dei dati identificativi delle parti dei procedimenti in materia di famiglia e di status sussiste anche nei casi in cui la controversia attenga a rapporti di tipo patrimoniale o economico.
La tutela in esame si aggiunge a quella prevista dall’art. 734-bis c.p. (“Divulgazione delle generalità o dell’immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale”), che viene espressamente richiamato, il quale punisce chiunque divulghi, nell’ambito di determinati delitti a sfondo sessuale (soprattutto, ma non solo, relativi a minori)(6), anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l’immagine della persona offesa senza il suo consenso.

4.2 Casi particolari
In relazione a quesiti che sono stati posti con riferimento ad alcuni particolari profili del divieto posto dal comma 5 dell’art. 52, deve essere, in primo luogo, chiarito che il divieto di diffusione delle generalità, degli altri dati identificativi e degli ulteriori dati che consentano di identificare i minori o le parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone non può, ovviamente, trovare applicazione ove la lettura della sentenza o di altro provvedimento non permetta, facendo applicazione dell’ordinaria diligenza, di individuare il coinvolgimento di un minore o delle parti dei menzionati procedimenti.
Ciò chiarito, si precisa che:
– la disposizione intende fare riferimento non solo alla sentenza o altro provvedimento emessi nel procedimento in cui è coinvolto il minore o in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone, ma anche a qualsiasi sentenza o altro provvedimento che contenga dati personali, anche di terzi, che consentono, “anche indirettamente”, di svelare l’identità delle persone tutelate;
– la norma richiede ai soggetti che diffondono i provvedimenti per finalità di informazione giuridica di esercitare un’ordinaria diligenza nell’esame del testo delle sentenze e degli altri provvedimenti. In particolare, rientrano nell’oggetto del divieto le informazioni che, nella valutazione della fattispecie concreta, permettano di risalire agevolmente all’identificazione del minore o delle parti nei giudizi in questione (ad esempio, i nominativi dei genitori del minore o la scuola da questo frequentata, o l’indirizzo dell’abitazione delle parti processuali);
– il divieto di diffusione dei nomi dei minori e delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone concerne anche il divieto di farne cenno nell’ambito di massime giuridiche che sono tratte da sentenze o altri provvedimenti che, se diffusi in forma integrale, devono essere anonimizzati. Ciò, anche se, di per sé, la massima non rivela che è tratta da un provvedimento emesso in un procedimento in cui sono coinvolti un minore oppure le parti nelle materie dei rapporti di famiglia e di stato delle persone (ad esempio, perché enuncia un principio di diritto di carattere processuale). Anche in tali casi, infatti, le massime sono idonee a svelare l’identità dei soggetti tutelati (si pensi al caso in cui altra rivista – o anche la medesima, in altra parte o fascicolo – pubblichi il testo integrale della sentenza anonimizzata, e l’incrocio fra la pubblicazione della sentenza e della massima consenta di svelare l’identità dei soggetti protetti);
– per la medesima ragione, analogo divieto di diffusione dei dati dei minori e delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone sussiste anche relativamente alla pubblicazione di tali dati nell’ambito di un elenco di sentenze o di altri provvedimenti, anche senza massimazione, ove si tratti di sentenze o altri provvedimenti che, in caso di diffusione in forma integrale, devono essere anonimizzati perché idonei a svelare l’identità dei soggetti protetti.

5. Il lodo (art. 52, comma 6)
Il comma 6 dell’art. 52 estende le altre disposizioni dell’articolo “anche in caso di deposito del lodo ai sensi dell’art. 825 del codice di procedura civile”.
Si applica, quindi, anche a tale particolare pronuncia, come espressamente previsto dalla disposizione, la procedura di anonimizzazione dei provvedimenti, con le regole poste riguardo alla presentazione della richiesta dall’interessato (comma 1), alla decisione degli arbitri, anche d’ufficio (comma 2), all’apposizione dell’annotazione (comma 3), e al divieto di diffusione (comma 4), oltre che, ovviamente, il divieto ex lege di cui al comma 5.
Poiché il lodo può essere redatto “in uno o più originali” (art. 824 c.p.c.), l’annotazione, ove disposta, va ovviamente riportata su tutti gli originali.
Il Codice aggiunge che “in modo analogo” provvede anche il collegio arbitrale costituito preso la camera arbitrale per i lavori pubblici ai sensi dell’articolo 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109. Tale disposizione deve ritenersi ora applicabile all’arbitrato previsto del d. lg. 12 aprile 2006, n. 163 (“Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”), che ha abrogato la legge n. 109/1994, e il cui art. 241, nel sostituire l’art. 32, opera espresso riferimento all’art. 825 c.p.c..

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