Cassazione civile, sez. lavoro, 11 settembre 2006, n. 19434
La sentenza in esame non si evidenzia per la soluzione di particolari questioni di diritto ma costituisce lo spunto per ribadire due principi consolidati in materia previdenziale.
Il primo attiene al rapporto causale fra l’evento dannoso, che si tratti di un infortunio o di una malattia professionale, e l’espletamento dell’attività lavorativa.
È ormai consolidata in materia di previdenza l’applicazione della regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio della equivalenza delle condizioni. Il rapporto causale con l’evento dannoso va riconosciuto ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta o remota, alla produzione dell’evento.
Solo se può essere ravvisato con certezza l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa di per sè sufficiente a produrre l’infermità deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge.
Così, come nel caso di specie, deve riconoscersi in virtù del principio di equivalenza causale di cui all’art. 41 c.p., l’indennità per invalidità ed inabilità al dipendente che lamenti nella genesi della malattia psichica da stress da lavoro il concorso causale delle condizioni di lavoro ancorchè in presenza di una intrinseca debolezza o predisposizione del soggetto.
(in senso conforme: Cass. civ. – sez. lavoro 5014/2004 e 12377/2004)
Il secondo principio attiene a questioni di carattere procedurale e precisamente alla c.t. in grado d’appello.
Secondo il prevalente indirizzo della S.C. nelle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria che richiedono accertamenti tecnici, la consulenza tecnica in appello, normalmente facoltativa, diviene obbligatoria se è stata omessa dal giudice di primo grado.
«Il mancato espletamento della consulenza, nel caso che neppure in primo grado sia stata espletata, costituisce una grave carenza nell’accertamento dei fatti e si risolve, inoltre, in un vizio di motivazione della sentenza ferma restando, naturalmente, la facoltà del giudice del merito di discostarsi motivatamente dal parere del Ctu».
(in senso conforme: Cass. civ. – sez. lavoro 2187/86; 12354/98; 5794/99; 4927/04)
Cassazione civile, sez. lavoro, 11 settembre 2006, n. 19434