Cassazione penale, sez. III, 31 gennaio 2022, n. 3338
Piccolo spaccio ed applicabilità del comma 5 dell’art. 73 DPR 309/90. La continuatività dell’attività di spaccio circoscritta a pochissime dosi alla volta non esclude l’ipotesi di lieve entità.
In tema di spaccio di sostenze stupefacenti la fattispecie del fatto di “lieve entità” di cui all’art. 73, comma 5 del D.P.R. n. 309 del 1990 è ravvisabile in ipotesi connotate da una minima offensività, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.
La Suprema Corte ha precisato che «ai fini del riconoscimento o meno dell’ipotesi della lieve entità, occorreuna complessiva e concomitante valutazione di tutti i parametri delineati dalla norma, fermo restando che possono ricorrere situazioni in cui uno dei parametri di per sé assuma una tale rilevanza, che finisca per connotare in modo decisivo la condotta, così da renderla irriducibile alla qualificazione in termini di lieve entità.
Ciò può valere soprattutto con riguardo al dato quali-quantitativo, in presenza di condotte aventi ad oggetto detenzione o cessione di quantitativi rilevanti, valutati anche alla luce del principio attivo, a prescindere dal riferimento a specifiche modalità o circostanze dell’azione.
Nondimeno, con riguardo ad ogni specie di sostanze stupefacenti, vi possono essere ipotesi intermedie, in cui il dato quali-quantitativo non assume rilievo decisivo e ben può essere ulteriormente qualificato da profili collaterali, inerenti agli altri parametri, in modo da risultare per tale via compatibile o meno con l’ipotesi della lieve entità.
È il caso del c.d. piccolo spaccio, quale forma socialmente tipica di attività illecita, di per sé tale da collocarsi sul gradino inferiore della scala dell’offensività e compatibile con la detenzione di dosi di droga conteggiabili a decine; in casi del genere, il fatto può ben rientrare nell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, a prescindere dal mero profilo della continuatività della condotta, ove, però, mantenuta entro un “minimo” grado di offensività».
Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che non sussistessero ostacoli per la configurabilità del fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73,comma 5, posto che il requisito della continuatività dell’attività di spaccio era risultato circoscritto a pochissime dosi alla volta e che non erano state accertate modalità particolarmente allarmanti di tale attività.
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Cassazione penale, sez. III, 31 gennaio 2022, n. 3338